In memoria del libero mercato
Autostrade per l’Italia è solo l’ultima grande società tornata, più o meno direttamente, sotto il controllo dello Stato. Si aggiunge ad una lista che, post crisi, sta diventando molto, troppo, lunga. Si va dai grandi istituti bancari come Monte dei Paschi o Popolare di Bari alla madre di tutte le ri-ri-ri-nazionalizzazioni ovvero Alitalia.
Un interventismo statale che l’ottimo Di Vico ieri sul Corriere della Sera definisce, a ragione, “capitalismo politico’’.
Una presenza troppo ingombrante per un mercato, come quello italiano, mai diventato completamente adulto. Una presenza che si porta dietro un bagaglio fatto di burocrazia, inefficienza e quasi totale assenza del merito. Sia per ciò che afferisce al capitale umano, che per capacità di immaginare e costruire il futuro.
Il libero mercato, nella nostra Italia, viene costantemente demonizzato e accusato di essere l’origine di ogni male, pur in assenza di critiche realmente strutturate. Pochi giorni fa, ad esempio, uno dei più importanti Ministri del Governo Conte auspicava che la nazionalizzata Autostrade fosse quotata in borsa, ma non “assoggettata alle logiche di mercato”.
Un cortociruito di pensiero che esemplifica il totale disprezzo per il libero mercato, basato prevalentemente su dei pregiudizi. Oltre che su una scarsa dimestichezza con il gergo politico-economico.
Fa bene allora Alan Friedman ad ironizzare su questo pasticcio chiedendosi, provocatoriamente, se la nazionalizzazione di Autostrade permetta ai cittadini, neo riproprietari, di non pagare più i pedaggi.
Vedete amici, il tanto vituperato libero mercato è in realtà il terroir su cui prospera la società liberale, fonte di ispirazione primaria del modello occidentale. Un terroir che ha permesso all’occidente di garantire standard di vita qualitativi impensabili, oltre che diritti e pace per le sue genti. Certo, negare le distorsioni del mercato, specie della finanza speculativa, sarebbe un errore. Ma sono, appunto, distorsioni che uno Stato o una realtà sovranazionale, mi riferisco chiaramente all’Europa, possono e devono correggere.
Io credo spetti allo Stato e ai suoi organismi un ruolo di “guardiano notturno” per citare Nozick e la scuola minarchista. Il capitalismo di Stato ha fatto il suo tempo e, specie in Italia, ha mostrato limiti evidenti. È un errore immaginare di tornare ad un’epoca in cui lo Stato è imprenditore di se stesso.
Lo è in particolare se consideriamo lo spaventoso debito pubblico e il disperato bisogno di riforme: giustizia, lavoro, fisco, codice degli appalti, pubblica amministrazione e tanto altro.
Se in Europa tutto andrà come deve, sarà indispensabile spendere bene i soldi attraverso investimenti mirati ed ad alto rendimento come la digitalizzazione, le infrastrutture, la ricerca. L’assistenzialismo fine a se stesso non crea futuro, il lavoro sì.
Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi e non rendersi conto che prima o poi dovremo fare i conti con la nostra finanza pubblica, non è solo un’utopia, ma una colpa grave.
Un macigno insopportabile per il futuro delle nostri ragazzi già seriamente compromesso. E senza giovani meritevoli il futuro, semplicemente, non c’è.