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Era bello parlare di futuro con mio padre. In forme diverse voglio continuare a farlo

Giorgio Bernini

Era bello parlare di futuro con mio padre. In forme diverse voglio continuare a farlo

Mi piace pensare che, di fronte all’ultimo sipario, abbia canticchiato il suo My way: “Ho vissuto una vita piena, ho viaggiato su tutte le strade, ma più, molto più di questo l’ho fatto a modo mio”.
Mio padre è stato innanzitutto questo: un vitalista con coraggio, col gusto della sfida, con la voracità e la tenacia propria di quella generazione formatasi in anni terribili, che nella sfida non ha mai perso la dimensione di futuro e quel futuro lo ha saputo costruire.
Tenace, testardo, portatore di un indomabile intransigenza della ragione e di un’altrettanto indomabile forza della volontà.

Il suo vero testamento è questo: l’impegno, anzi la religione dell’impegno, che si realizza innanzitutto nel lavoro, con lo spirito di chi, nel varcare confini sempre nuovi, si divertiva da matti, senza paura di essere impopolare in un’epoca in cui era forse più comodo essere convenzionali.
Sì, si divertiva da matti con quel fax sulla barca, la casa al mare stracolma di carte, gli atti che è stato in grado di dettare alla perfezione anche quando la mano ha iniziato a tremare e la vista a cedere, come un musicista che, fino alla fine, non sa rinunciare a suonare il suo strumento. E sa che il momento della rinuncia coincide con il momento del congedo.

Questa la sua modernità: l’essere un cittadino del mondo, quando il mondo era ancora “chiuso”, capace di immaginare, nello studio e nell’esperienza concreta, le sue evoluzioni. Ha saputo anticipare, nella sua attività accademica, temi che in Italia ancora non erano trattati, come l’antitrust, l’arbitrato, ha creduto nel diritto nella comunità europea, da convinto europeista.
E lo ha fatto a modo suo, senza il narcisismo dell’accademico innamorato delle parole, ma con lo spirito di chi, dentro l’università, ci metteva la vita. Già, l’università: la sua vera passione, il suo orgoglio, la sua libertà e il diritto ad esercitarla, come quando nel ’69 era chiuso dentro a fare lezione in mezzo agli scontri epici di una facoltà occupata dai seguaci del collega Toni Negri.
Era bello parlare di futuro con lui. In forme diverse voglio continuare a farlo. A modo nostro.

Ciao papà.