Giovani, un futuro che spaventa
Oggi il presidente di Bankitalia, Ignazio Visco, dagli Stati generali delle pensioni ha lanciato l’allarme: l’Italia è “al primo posto per la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono percorsi di formazione”. Gli ormai noti Neet sono oltre due milioni: il 22 per cento della popolazione in questa fascia di età, il 33 per cento nel Mezzogiorno.
L’allarme di Bankitalia non è il primo, già l’Unicef aveva diffuso dati inquietanti, e il quadro è ancora più drammatico se si prendono in considerazione i dati sugli espatri dei giovani – laureati e non – che cercando fortuna altrove.
Dati che gettano ombre inquietanti sul presente e sul futuro dell’Italia, perché se oggi fotografano un paese in cui i giovani faticano a trovare una loro dimensione lavorativa e in cui il welfare familiare ha un peso molto rilevante; nel futuro tutto questo si traduce in un grave problema di denatalità e di tenuta degli impegni previdenziali.
Insomma, siamo di fronte ad un problema complesso, in cui divario generazionale e quello Nord-Sud s’intrecciano e in cui però è fondamentale agire subito. Non bastano le politiche spot o assistenzialistiche tante care al governo, ma serve un vero e proprio piano per i giovani.
L’Italia ha bisogno di favorire la sinergia tra scuola e lavoro, di investire sulla formazione e d’incentivare l’imprenditoria giovanile e il lavoro. Proposte che noi abbiamo portato avanti con il Ddl Giovani, di cui sono stata la prima firmataria, rimaste però in gran parte inascoltate.