La Corte di Cassazione è tornata a chiarire un punto tanto delicato quanto comune nelle famiglie separate con figli: certe parole, anche dette d’impulso, possono costare caro.
L’amore è bello finché dura – lo diceva qualcuno che probabilmente aveva già fatto le valigie. Il problema arriva dopo, quando finisce tutto e in mezzo restano i figli, spesso troppo giovani per capire davvero cosa stia succedendo. È lì che iniziano le battaglie, non solo legali ma anche quotidiane, fatte di tensioni, ripicche e silenzi. Perché la fine di un matrimonio o di una convivenza raramente coincide con la fine dei rapporti.
Nel mezzo ci sono loro, i figli, costretti a riorganizzare la propria vita tra due case, due abitudini, due versioni della stessa storia. Le decisioni sull’affido servono proprio a garantire un equilibrio – ma basta poco per romperlo.
E succede, più spesso di quanto si pensi, che uno dei genitori lasci trapelare parole di troppo, commenti velenosi o giudizi capaci di mettere il figlio contro l’altro genitore. È in queste situazioni che la Corte di Cassazione ha deciso di intervenire, mettendo i puntini sulle i: anche le parole, se usate male, possono diventare un’arma.
Può bastare una frase, detta nel momento sbagliato, per trasformarsi in un errore grave. ‘Tua madre pensa solo a sé’, ‘Tuo padre non vi mantiene come dovrebbe’, ‘Con me staresti meglio’. Espressioni comuni, spesso pronunciate in un attimo di rabbia, ma che la legge considera veri e propri atti di denigrazione. Anche se pronunciate ad un’altra persona in sua presenza.
Secondo la sentenza n.899/2016 del Tribunale di Roma, un genitore che parla male dell’altro davanti ai figli può essere ammonito, tolto dall’affido e perfino sanzionato fino a 5.000€, perché mina la serenità del minore e altera il suo equilibrio emotivo. Il caso in questione riguarda un padre che aveva ripetutamente screditato l’ex moglie, arrivando a influenzare la decisione del figlio di trasferirsi a vivere con lui. Una scelta che, secondo i giudici, non era affatto libera ma frutto di condizionamento.
La Corte ha ribadito più volte che i genitori, anche dopo la separazione, devono cooperare nel percorso educativo dei figli, mantenendo rispetto reciproco e proteggendo il minore da tensioni e giudizi. Non è una questione morale, ma legale: l’articolo 155 del Codice Civile impone che ogni decisione sull’affidamento venga presa nel solo interesse del figlio, non dei genitori.
Ecco perché certe parole – anche se dette in casa, tra le mura di una quotidianità ferita – possono avere un peso giuridico enorme. Perché non è solo una questione di educazione; bensì una responsabilità che riguarda il benessere del minore.
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