Come richiedere un risarcimento tra €2.000 e €5.000 anche se non esiste una legge specifica a riguardo.
Nonostante in Italia non esista ancora una legge codificata sul diritto alla disconnessione che ne definisca chiaramente i confini, la tutela del lavoratore esiste ed è importante.
Il principio di non essere disturbati al di fuori dell’orario di lavoro è difeso da norme generali e dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, specialmente nel contesto dello smart working (Legge n. 81/2017). La violazione sistematica di questo diritto può configurare un danno risarcibile, con stime che possono oscillare tra 2.000 e 5.000 euro. Il fondamento giuridico che permette al lavoratore di chiedere un risarcimento non è una legge specifica sulla disconnessione, ma l’articolo 2087 del Codice Civile.
Questa norma impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore. Quando un datore di lavoro invia mail, chiamate o richieste di lavoro fuori orario in modo sistematico, senza un accordo preventivo e al di fuori di situazioni di reale emergenza, viola il riposo del lavoratore, causando stress da lavoro correlato o danno esistenziale.
La Cassazione ha stabilito che le violazioni di cui sopra, se adeguatamente provate, possono portare al riconoscimento di un danno risarcibile, quantificabile nella fascia indicata tra 2.000 e 5.000 euro (la cifra esatta dipende dalla gravità e dalla durata della violazione).
Il risarcimento non è automatico. Il lavoratore deve agire con strategia e rigore burocratico. Il primo passo è la raccolta delle prove. Il lavoratore deve conservare e catalogare tutte le comunicazioni ricevute fuori orario. Questo include: Screenshot di messaggi o chat (WhatsApp, ecc.). PEC o e-mail con data e orario (soprattutto se ricevute nel fine settimana o in piena notte). Registro delle chiamate fuori orario.
Spesso, l’azione più efficace è la contestazione formale.
Il lavoratore deve inviare una richiesta scritta (preferibilmente tramite PEC o raccomandata) alla direzione o ai superiori. Molte aziende, una volta formalizzata la contestazione, regolarizzano rapidamente la situazione per evitare cause legali. Se la situazione non si risolve, il lavoratore può procedere su due fronti: si rivolge all’ispettorato del lavoro segnalando la violazione per un intervento ispettivo.Oppure può rivolgersi a un esperto legale (avvocato giuslavorista) per valutare i presupposti per una richiesta di risarcimento del danno.
La tutela del riposo è un diritto reale, non una mera cortesia aziendale. La Cassazione ha aperto la strada al risarcimento, ma la chiave è la documentazione precisa e la corretta formalizzazione dei reclami.
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