La Suprema Corte mette i puntini sulle i sui requisiti per ottenere un risarcimento a seguito di cani rumorosi del vicinato. I dettagli.
Che nessuno tocchi gli animali e il loro istinto naturale, ma quando questo si scontra con la quiete e le necessità condominiali la questione si fa complessa. Da una parte potrebbe non essere colpa del padrone, dall’altra esistono alcune responsabilità in quanto condomini.

Il principio rimane lo stesso: se si può fare qualcosa per limitare l’abbaio, è compito del proprietario adottare le misure necessarie. E, in merito a uno dei motivi più comuni di controversia tra inquilini, l’argomento torna alla ribalta con una nuova angolazione.
Secondo la Suprema Corte, non serve più provare di essere malati per ottenere un risarcimento dai vicini con cani particolarmente rumorosi, come avveniva in passato. Oggi basta dimostrare che il diritto al riposo è stato violato. Tutto questo emerge da una sentenza che potrebbe cambiare le sorti di migliaia di condomini italiani. Ma facciamo un passo indietro per capire cosa è realmente cambiato.
Cane del vicino che abbaia sempre: cosa dice la legge e cosa cambia con la nuova sentenza
La svolta della Cassazione nasce da un caso concreto, che per cinque anni ha trasformato la vita di quattro vicini in un inferno quotidiano. Eppure, più della storia in sé, conta il principio che i giudici hanno messo nero su bianco: in condominio non si deve essere malati per ottenere giustizia. Se il rumore continuo dell’abbaiare compromette il riposo e la qualità della vita, scatta il diritto al risarcimento. Senza se, senza ma.

Per anni, invece, si era proceduto al contrario. Le vittime dei rumori dovevano dimostrare di aver sviluppato ansia, insonnia o altri disturbi certificati. Un percorso che scoraggiava molti, perché costoso, invasivo e spesso umiliante. L’ordinanza 29784/2025 ribalta tutto: oggi basta provare che quei suoni superano la normale tollerabilità prevista dall’articolo 844 del Codice Civile. E questo si dimostra con registrazioni, perizie fonometriche e testimonianze, non con cartelle cliniche.
Il caso dei quattro cani rinchiusi nella proprietà dei coniugi, poi condannati a risarcire 3.000€ ciascuno, è emblematico anche per un altro dettaglio: non serve essere proprietari dell’animale per esserne responsabili. È sufficiente essere detentori, cioè tollerare la situazione senza intervenire. Ed è proprio questo che la Corte ha contestato: la coppia aveva permesso al figlio di usare il loro terreno come un piccolo canile, ignorando il disagio del vicinato.
Precisazione: ovviamente ogni caso è a se, e come la legge ci insegna, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Ogni cane ha il suo carattere, e non è mai il vero colpevole. Il punto messo nero su bianco dalla sentenza è il fatto che il diritto al riposo pesa quanto la salute. E chi lo viola anche solo non attuando delle accortezze (e ignorando i bisogni altrui), deve rispondere delle conseguenze.





