Donne e scienza, tra passione e diritti ancora da conquistare. Anna Maria Bernini invita a non sprecare metà del talento del Paese. Una voce che parla di futuro, libertà e merito

La ministra dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, ha scelto di riportare al centro del dibattito un tema che attraversa il mondo accademico e produttivo: la necessità di liberare il potenziale delle donne nella ricerca e nella formazione.
Il suo messaggio è tornato con forza nelle ultime settimane, in occasione del Premio Atena Donna 2025, riconoscimento che le è stato conferito per l’impegno nel promuovere la presenza femminile nei percorsi scientifici e universitari.
«L’accesso delle donne alla scienza e alla formazione non è solo una questione di parità – ha sottolineato Bernini – ma una sfida di competitività per tutto il Paese. Escludere metà del talento disponibile significa rinunciare a metà del nostro futuro».
I dati dell’impiego di donne ricercatrici nella scienza
Parole che trovano eco nei dati: secondo il MUR, solo il 36% dei ricercatori in Italia è donna, e nelle discipline STEM – scienza, tecnologia, ingegneria e matematica – la percentuale scende ancora.
Una situazione che, per Bernini, non può essere corretta con slogan, ma con misure strutturali: più borse di studio, incentivi per la carriera accademica, e soprattutto un cambiamento culturale che parta dalle scuole.
Il suo approccio è pragmatico: accanto alla retorica dell’uguaglianza serve una rete concreta di opportunità. «Lavoriamo perché le ragazze si sentano legittimate a scegliere percorsi scientifici e tecnologici – ha spiegato – Dobbiamo garantire loro ambienti formativi inclusivi, dove il merito non abbia aggettivi».

Nel suo mandato, Bernini ha spinto per una serie di misure che vanno in questa direzione: dai fondi per le giovani ricercatrici ai progetti di mentoring universitario, fino ai protocolli firmati con scuole e atenei per contrastare stereotipi e disparità di genere. Non solo politiche di genere, ma una visione di sistema che lega istruzione, ricerca e lavoro.
La ministra non si è limitata alla questione dell’equilibrio numerico, ma ha allargato la riflessione al valore della diversità come motore dell’innovazione. «Le scoperte più grandi nascono dal confronto di prospettive diverse. Per questo serve un mondo accademico più rappresentativo, capace di riflettere la società che vuole migliorare».
Le reazioni del mondo scientifico: “Un passo avanti concreto”
Il suo impegno è stato riconosciuto anche dal mondo scientifico: diverse università hanno citato i programmi ministeriali di sostegno alle ricercatrici come un passo avanti concreto verso una ricerca più equa e competitiva.
Bernini ha più volte ricordato che la parità di genere non è una battaglia “di parte”, ma un investimento collettivo. Un concetto che ha ripreso anche durante la Settimana della Protezione Civile all’Università della Calabria, parlando di ricerca come “pilastro di prevenzione e sviluppo”. «Ogni euro speso in conoscenza è un euro investito nel futuro del Paese — ha detto — e quel futuro non può prescindere dal contributo delle donne».
In un panorama in cui l’Italia tenta di trattenere i propri talenti e di attrarne di nuovi, le parole di Bernini segnano una rotta chiara: valorizzare il merito e rendere la ricerca un ambiente davvero aperto. La ministra parla di “riconciliare la scienza con la società”, un obiettivo che passa anche dalla rappresentanza e dall’esempio.
Dietro la sua battaglia per le donne nella scienza non c’è solo una questione di giustizia, ma di visione: costruire un Paese che sappia riconoscere il valore del sapere come forza civile. «La scienza- ha concluso di recente – è una delle forme più alte di libertà. E la libertà, per essere reale, deve essere di tutti».





